Nella videoinstallazione La bouche dans la main il visitatore entra dapprima in uno spazio buio, percorso da rumori e suoni corporei, labiali, di cui non sa cogliere l'origine. Passando nel secondo spazio si vede attorniato da grandi immagini (ritratti-finestre) di persone che raccontano delle storie in Lingua dei Segni. Il fruitore udente che non conosce le Lingue dei Segni non comprende, cerca di indovinare, interpreta: anzi, proprio perché non capisce osserverà e coglierà una serie di segni, di tonalità emotive, di sensazioni che altrimenti non coglierebbe. L'atmosfera è simile a quella di un grande acquario di rumori liquidi, dove non si sa se il pesce è chi guarda o chi è nell'immagine.
Il fruitore sordo invece, che non può udire l'atmosfera uditiva della prima parte dell'installazione, ha un accesso più diretto ai significati dei racconti (benché le Lingue dei Segni siano diverse tra loro) e può cogliere le inflessioni «dialettali», di stile, la ricchezza di vocabolario, di ogni protagonista.
È un progetto questo, un lavoro nelle e sulle Lingue dei Segni, le lingue «parlate» dalle comunità dei sordi, comunità profondamente radicate nel territorio e anche radicalmente separate, a causa della grande difficoltà di comunicazione orale e scritta con la maggioranza della popolazione.
Lingue dei Segni che sono le uniche, come dicevo, veramente naturali per il bambino sordo e che lui non può che imparare, se ne ha la possibilità, dalla «propria famiglia silenziosa», fuori dal nucleo familiare, dato che un bambino sordo nasce 9 volte su 10 in una famiglia di udenti.
La lingua naturalmente ha portato con sè delle persone e la ricerca ha preso vieppiù forma attraverso incontri e racconti.
« Una specie di grande acquario di rumori liquidi, dove non si sa se il pesce è chi guarda , chi è nell'immagine o tutti e due: così Luisa Figini descrive la videoinstallazione La bouche dans la main, conducendoci verso gli spazi ambigui della comunicazione, in una "mappa oscura" di una corporeità e di una gestualità impreviste.
Luisa Figini orienta la sua ricerca attorno all'altro, all'incontro, alla possibilità-impossibilità di traghettare schegge di senso al di qua e al di là di universi separati: «understanding of understanding», «capire come comprendiamo comprensioni non nostre».
Si muove con la cautela dell'antropologo, consapevole che «la comprensione non muove da un dialogo trasparente", ma da malintesi e opacità necessariamente presenti in ogni scena di relazione. » (testo di presentazione della mostra al Museo cantonale d'Arte di Lugano)
"Io guardavo, ma non capivo niente, guardavo in silenzio e basta. (...)
La prima parola che ho imparato, che la maestra mi ha insegnato è stata "mamma" .
A scuola insegnavano a guardare le labbra delle persone.(...)
La maggior parte degli udenti non parla in maniera chiara, stringono i denti, parlano con la bocca chiusa... Per noi è difficilissimo, non si capisce niente!
Oppure le persone con i baffi grossi... che problema!. Io allora lascio perdere, dico sì,sì con la testa e poi vado via." (Anna Stroppini)
"La cosa strana era questo microfono con le cuffiette nelle orecchie; vedevo che il papà, le altre persone questi apparecchi non li avevano. Quando sono andata all'asilo, ho visto che tutti gli altri bambini avevano anche loro questi apparecchietti, lì ho capito che loro erano come me; ho capito che gli udenti erano da un'altra parte,che erano un'altra cosa.(...)
La prima volta che è arrivata all'istituto una persona adulta sorda ho pensato: "Ah, è sorda ed è anche sposata! Ah, però...!" LÌ ho capito che anche noi bambini sordi avremmo potuto diventare grandi e sposarci come gli udenti, proprio allo stesso modo! (Sharon Opreni)
"Ho cominciato a capire meglio il mondo perché non avevo l'interferenza del suono. Vedevo di più.(...)
Invero noi persone sorde non abbiamo quest'immagine del nostro mondo come mondo del silenzio: è un'immagine, questa che abbiamo dovuto rubare agli udenti, perché il nostro mondo è vivacissimo, secondo me rumorosissimo, coloratissimo, in grande movimento, e quindi non è quel mondo di silenzio, nel senso di immoto, di fermo. Il mondo del silenzio è più un'etichetta che ci hanno appiccicato gli udenti.
L'immagine del silenzio, per noi sordi, per me e per la maggior parte delle persone sorde, coincide col buio, assenza di luce; quando mi salta l'impianto elettrico per qualche motivo e tutta la casa resta al buio, ecco in quel momento è silenzio.
L'assenza di luce, il buio completo è silenzio!" (Rosella Ottolini, Milano)
Grazie a Monica Celotti, Orazio e Sandra Lucioni, Sharon Opreni, Rosella Ottolini, Anna Stroppini, Fred et Lionel Vauthey, protagonisti di questa installazione;
a Massimo Agustoni, Claudia Castelli, Gaby Lüthi, per le traduzioni LIS, Lingua Italiana dei Segni/italiano ; a Emmanuelle Prêtre, per le traduzioni LSF, Langue des Signes Française/francese et a Jolanda Fuhrmann per le traduzioni italiano/francese;
a Rolando Raggenbass per la collaborazione nella redazione scritta delle testimonianze orali.
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